La corretta informazione passa anche per l’incontro con realtà che sembrano attirare meno la massa dei lettori dei quotidiani online e per i quali, tendenzialmente, si nutrono dei pregiudizi. Molti paesi europei, da Stati di diritto, prevedono una figura di garanzia per i diritti delle persone private della libertà. Anche l’Italia ha previsto nel 2013 la figura di un Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, divenuto operativo a tutti gli effetti solo nel 2016.

Si tratta di un organismo statale indipendente in grado di monitorare i luoghi come il carcere, i luoghi di polizia, i centri per gli immigrati, le Residenze per le misure di sicurezza -REMS, recentemente istituite dopo la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari, gli SPDC, i reparti dove si effettuano i trattamenti sanitari obbligatori, ecc.

Il Garante Nazionale ha il compito di risolvere situazioni di conflitto che si evincono dai reclami proposti dalle persone ristrette, riservando all’autorità giudiziaria i reclami che richiedono l’intervento del magistrato di sorveglianza; inoltre, coordina i Garanti regionali fornendo ad essi linee guida al fine di adottare procedure comuni.

Garante dei diritti dei detenuti della Regione Campania è il Prof. Samuele Ciambriello, docente di teoria e tecniche della comunicazione presso l’Università Suor Orsola Benincasa e di teoria e tecniche del linguaggio radio-televisivo presso l’Università Link di Malta a Roma, nominato con decreto del Presidente della Giunta Regionale nel 2017.

Esperto di politiche dell’inclusione sociale, di contrasto alla povertà e al disagio minorile, gli abbiamo chiesto, in una intervista, qualche delucidazione sul suo ruolo di garante, sul suo impegno e le misure messe in atto a fornire aiuto concreto, supporto, alle persone private della libertà.

Prof. Ciambriello, di cosa di occupa precisamente un garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale? Quali sono le criticità tipiche di tale ruolo in Campania?

  • Il Garante raccoglie le segnalazioni che si ricevono durante i colloqui, mediante l’invio di lettere da parte dei detenuti o tramite istanza presentata alla direzione del carcere, dai familiari o legali e da qui partono le nostre sollecitazioni per interventi sanitari, richieste di trasferimento; promuoviamo iniziative all’interno e all’esterno delle carceri, attraverso la collaborazione di soggetti pubblici, associazioni e cooperative sociali.

Professor Ciambriello, lei ha a che fare anche con i minori, ritiene sia utile la misura della messa alla prova in termini di efficienza? Quanti minori ritornano a delinquere?

  • Da qualche tempo anche in Italia assistiamo a fatti di cronaca sempre più violenti e immotivati, perpetrati da ragazzi la cui età va progressivamente diminuendo fino a coinvolgere bambini in età scolare; il fenomeno che prende il nome di “baby gang”. In Campania, nello specifico: Nisida accoglie il maggior numero di detenuti, 57, cui segue Bologna con 45 ed Airola con 37 detenuti. Molteplici sono le cause che concorrono alla dirompente crescita del fenomeno della devianza minorile: gravi problemi familiari, degrado abitativo – ambientale, ma soprattutto l’elevatissima evasione scolastica. La messa alla prova e l’affidamento al Servizio Sociale appaiono oggi strumenti decisivi non solo per rieducare i reclusi ma anche per cercare di alleggerire il sovraffollamento carcerario. Ogni volta che vado in un istituto minorile penso che oltre “Mare Fuori” c’è una gioventù sospesa, adolescenti a metà con la morte nel cuore, giovani papà di 16-17 anni che entrano in carcere anche con reati gravi. Ma il dato che mi spaventa è la mancanza di consapevolezza del reato commesso. I giovani a rischio sono considerati sia dalla politica che dalla maggioranza delle persone una minaccia per la convivenza per la convivenza civile, pertanto, si è conseguito ad un inasprimento delle pene. Ma io li guardo, li ascolto e mi chiedo, è giusto reprimere?

Attualmente, con l’ufficio di garante svolge diversi progetti nelle carceri, in particolare parliamo del progetto “Parole in libertà”, per cui lei e il suo staff siete supportati da alcuni giornalisti del Mattino e dalla Fondazione Polis, di cosa si tratta? Che riscontro siete riusciti ad ottenere attraverso questo tipo di progetti dai detenuti?

  • Il progetto parole in libertà, che si tiene a Poggioreale e Secondigliano, ha lo scopo di costruire un ponte tra il mondo di dentro e il mondo di fuori, dandogli la possibilità di esporre il loro pensiero su temi di attualità, creando dibattiti che danno vita alla produzione di articoli che ogni lunedì vengono pubblicati sul giornale il Mattino.  La risposta dei detenuti è stata positiva, si sono dimostrati sin da subito partecipativi, siamo riusciti ad andare oltre il carcere in modo che il percorso sia sempre più improntato ad acquisire nuove conoscenze, affinché la pena sia sempre rieducativa, tanto che il progetto è stato prorogato per un altro anno.

Quali sono gli altri progetti di cui si occupa e quali quelli futuri?

  • Attualmente sono attivi il progetto “Parole in libertà” e un progetto sulla salute mentale. Il diritto alla cura e alla salute mentale è unico per la persona libera come per la persona priva di libertà. Il disagio psichico in carcere è un argomento particolarmente complesso e rilevante, destinato ancora a non far rumore se non quando la cronaca lo riporta alla ribalta. Bisogna spostare l’attenzione su come curarlo meglio in carcere e come aumentare le misure alternative per questi diversamente liberi. Per quanto riguarda invece i progetti futuri, sto lavorando affinché venga attivato un progetto sulla genitorialità per i detenuti padri del carcere di Secondigliano e le detenute madri del carcere di Pozzuoli. Abbiamo anche in corso dei protocolli d’intesa con il Parco Archeologico di Pompei, il comune di Vallo della Lucania, l’esercito, con la Magistratura di Sorveglianza, con l’Ordine dei farmacisti di Napoli e tanti altri. Tutto questo serve sempre a costruire ponti per dare una mano a chi è dentro di avvicinarsi al fuori e per chi è fuori di avvicinarsi a chi è dentro.

“Carcere è l’anagramma di cercare. Cercare per ricostruire, per ritrovarsi, per seguire una strada che è tracciata anche dalla Costituzione: assumersi la responsabilità, per trovare sé stessi, rispettando i diritti delle persone”, questo è lo slogano di uno dei suoi libri; tra le riflessioni riportate, qual è per lei la più incisiva, quella che dovrebbe coinvolgere tutta la società civile a non restare a guardare di fronte alle ingiustizie?

  • Un invito alla riflessione, rivolto ad una società che è alimentata dall’odio e dalla paura, che invoca punizioni sempre più severe ed esemplari che hanno poco a che vedere con la pena intesa come rieducazione. Un carcere così congegnato con è in grado di offrire risposte soddisfacenti, non potendo, anche a causa di molteplici fattori esterni e disinteresse politico sul tema, passare dal modello claustrofobico della reclusione a quello liberante – educante dell’inclusione.

Lei è anche Presidente dell’associazione La Mansarda, di cosa si occupa?

– “La Mansarda” si occupa dal 1989 dei minori a rischio e delle comunità d’accoglienza per minori.

Cosa ha rappresentato per lei la nomina di Garante dei detenuti della Campania dopo anni di dedizione alla causa?

  • È una scelta quasi di vita, vocazionale. Mi occupo di carceri da quaranta anni, ho scritto pure un libro per raccontare delle mie esperienze, dunque, la vivo come una vocazione, un’empatia, e lo faccio a tempo pieno. Una scrittrice, Susanna Tamaro, ha detto “Va’ dove ti porta il cuore”, io cerco di mettere il cuore in tutte le cose che faccio, soprattutto nel mio ruolo di garante.

È di pochi mesi fa la notizia che la Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà, riunitasi a Roma nella Sala Di Liegro di Palazzo Valentini nel mese di novembre, ha eletto come proprio Portavoce Nazionale il Prof. Samuele Ciambriello per il biennio 2023-2025.

A cura di Eliana Diana


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