All’evento “Io dono così – Giovani che cambiano il mondo”, tenutosi l’8 e il 9 ottobre a Bergamo ho partecipato con un’altra volontaria di Casalelab per rappresentare la nostra associazione insieme al CSV Assovoce, AVO Caserta e Solidarietà Cervinese.
Bergamo, capitale italiana del volontariato 2022, ha accolto 500 giovani provenienti da tutta Italia per raccontare le esperienze di dono con cui contribuiscono a cambiare le comunità in cui vivono.
Tutti i volontari sono stati impegnati nella stesura di 10 “lettere all’Europa” attraverso il confronto sui temi dell’ambiente e vita sulla terra, giustizia e legalità, parità di genere, pace e geopolitica,
salute e benessere, investire sul territorio, cultura, cittadinanza e partecipazione, scelte e opportunità, esperienza del dono.
Un evento carico di aspettative sui volontari da parte dei Centri di Servizi per il Volontariato e delle associazioni durante il quale
l’invito ai volontari è stato quello di “volare alto”, di pensare a qualcosa di innovativo, affinché i laboratori in cui si sono impegnati, in questi due giorni, siano fucina di spunti e riflessioni dai quali ricavare nuovi modi di fare volontariato, di attrarre giovani all’interno del mondo del volontariato.
Il mondo del welfare oggi ha sempre più bisogno di volontari che facciano volontariato con la passione e con le competenze rispondendo alle aspettative dei nostri tempi.
Ospite della cerimonia di apertura dell’evento lo scrittore Roberto Saviano che è intervenuto sul tema del “dono” affrontando anche
il tema del coraggio, trattato nel suo ultimo libro dedicato al giudice Giovanni Falcone. “L’esempio dei volontari che salvano le vite in mare: quanta fatica hanno dovuto fare queste persone per essere considerate ciò che sono, testimoni della tragedia e ambulanze del mare. Pensiamo a quanta parte di odio hanno dovuto subire per un atto che è il più comprensibile possibile, cioè salvare vite umane. Se pensiamo che in qualche modo tutti fregano tutti, questo a cosa ci porta? All’inazione, ci fermiamo. Se invece pensiamo il contrario, che è tutto ancora da fare, che c’è uno spazio di azione, che è possibile e che facciamo la differenza nel momento in cui scegliamo, questo ci porta all’azione.

Molto più complicato perché è un’azione che si confronterà con l’errore, con la difficoltà, con la fatica mentre sulla strada dell’inazione non sbagliano mai perché sono fermi. Non è un caso che si tirino fuori argomenti come “buonista”.
Viviamo in una dinamica talmente complicata per cui ci fidiamo solo della crudeltà. Se qualcuno ci insulta o ci critica in maniera feroce, chiaramente soffriamo ma lo consideriamo autentico. Se invece una persona dice il contrario, che ci stima, immediatamente pensiamo a dove vuole fregarci, non ci crediamo. Pensiamo che sia sincero solo ciò che è violento, brutale, per cui chi pensa che sia possibile agire con solidarietà, che sia possibile avere uno spazio di empatia, di azione,
di vicinanza, c’è immediatamente il sospetto: “buonista”, “dove ci guadagni?”.
Quando qualcuno dice “non siamo un paese che può accogliere” non viene considerata la sua dichiarazione manipolatoria, non viene considerata volta a creare profitto o elettorale o reale in senso economico, perché chi agisce sbaglierà; chi è solidale e agisce in questo senso non è esente e puro da vizi, errori, contraddizioni, così sarà molto facile stigmatizzarlo. Gli errori, invece, non andranno certamente a macchiare la pratica di chi agisce in modo autoritario, indifferente.
Quindi nel momento in cui siete in una posizione di apertura verso il mondo, di scelta di parte, da quale parte stare allora questo
vi espone. Ed è qui che si arriva ad un punto fondamentale, per quanto mi riguarda, un punto che negli ultimi anni ho voluto studiare, quello del coraggio. Infatti, ho cercato di scrivere su quello che per me è l’emblema del coraggio cioè Giovanni Falcone perché il coraggio noi crediamo essere qualcosa che ci arriva dalla nascita, qualcosa che abbiamo
dentro. Nati forniti o sforniti. Non è vero, il coraggio si sceglie perché è qualcosa che si connette immediatamente alla parte più
profonda di noi. Quando facciamo una scelta che non ci rappresenta, magari comoda, che ci ha messo al sicuro, quella scelta non ci sta
rappresentando.
Coraggio è poter agire nella direzione tua indipendentemente dalle conseguenze.
Per intenderci, Falcone poteva in ogni istante della sua vita mollare, era un suo diritto, una sua possibilità ma farlo cosa avrebbe significato? Rinunciare alla parte più profonda di sé. Qual era? Quella di scegliere, trasformare con lo strumento del diritto il suo paese e
non solo, conoscere i meccanismi di potere criminale per poterli svelare e quindi bloccare. Permettere una liberazione. Ci ha sempre
creduto e quello era ciò che lo rappresentava. Così è in molte parti della nostra vita: nei sentimenti, nell’amicizia, in qualunque cosa scegliere con coraggio indipendentemente dalle conseguenze. “


Roberto Saviano è inoltre intervenuto su Don Peppe Diana:
“Quando uccisero un prete nel mio territorio, si chiamava Don Peppe Diana, avevo 15- 16 anni e mi sembrava un super adulto ma adesso sono diventato più grande di lui, io ne ho 43 e lui per sempre fermo a 36 anni.
La mia famiglia mi ha dato una formazione spirituale ma non sono cattolico però mi colpiva questo prete che ad un certo punto usa lo spazio dell’omelia della domenica per prendere posizione; usa lo spazio del dibattito tra gli scout per comunicare e diffondere elementi di conoscenza; un ragazzo che a 30 anni dice che l’Italia è attraversata completamente da spazi di tirannide, quindi, non è una democrazia compiuta laddove in molte parti di territorio, in molte parti dell’economia c’è la tirannide delle organizzazioni criminali. Lui dirà una frase che poi lo condannerà a morte che recita così: per amore del mio popolo non tacerò.
Don Peppe attacca questo manifesto fuori tutte le chiese con gli altri parroci dell’agro aversano e questo manifesto dice “adesso usiamo i nostri spazi per raccontare quello che sta succedendo, per raccontare chi vince gli appalti, chi gestisce le cave, chi ammazza” e lo racconta perché questa è la verità. La verità è innanzitutto scegliere. Porta il clan a essere sconvolto, c’è un prete, uno scout che invece di pregare, cantare come se fossero pratiche accessorie e non che vanno invece a rinvigorire spirito, scelta, emozione; invece di fare questo, il prete prende posizione.
Don Peppe continua con la leggerezza di uno scout e di un prete di paese con mansioni quotidiane che non hanno la dimensione dei dialoghi sui massimi sistemi, del teologo, del militante antimafia ma tutt’altro. È un parroco che quotidianamente era lì a fare servizio.
Il clan non sopporta questa cosa. Il clan in quel momento minoritario De Falco decide di ucciderlo per dimostrare a tutte le famiglie che il clan vincitore non è valido, si fa sputare in faccia da un ragazzo nella chiesa
del paese. È così che il giorno di San Giuseppe avviene l’omicidio.

[Le mafie uccidono sempre nei giorni simbolici così quando c’è l’anniversario si debba essere costretti a ricordare il dolore].
Lui sta per celebrare la prima messa del mattino, entra il killer che non lo conosceva fisicamente e chiede ‘chi è don Peppe?’ Lui risponde ‘sono io’ e il killer gli scarica un intero caricatore in faccia.
Quando andai ad informarmi su cosa fosse successo sui referti necroscopici mi colpirono due cose, un bossolo era finito nel maglione di Don Peppe e poi il mazzo di chiavi le cui punte erano tutte rotte perché il proiettile aveva tranciato le punte del mazzo di chiavi con cui apriva la chiesa. Questo ragazzo resta per mezza giornata lì perché nessuno poteva entrare in chiesa, bisognava aspettare la scientifica da Napoli e c’era il Sindaco Renato Natale che oggi dopo 20 anni è ritornato Sindaco. La morte era anche un messaggio contro di lui. Arriva in chiesa e non riesce a fare nient’altro che inginocchiarsi davanti a questo sangue e dice in quel momento: “Non so se ho pregato o bestemmiato”.
Quando muore don Peppe subito parte la macchina del fango: “quello nella tenda stava sempre con qualche scout”. La stampa locale criminale inizia a soffiare sul fuoco della calunnia, perché è molto più facile dire ‘era una chiavica, era monnezza’, se invece sai che è una persona che è morta per un’idea, per un piano che avrebbe cambiato la vita anche a te, devi prendere posizione.
Il soprannome del boss che decide l’assassinio di don Peppe era O lupo, che aveva proprio la faccia da licantropo, pensate che in aula Nunzio De Falco viene difeso dall’avvocato Gaetano Pecorella che in quel momento era il presidente della Commissione giustizia del Parlamento italiano, nulla di illegale per chi svolge il lavoro di avvocato, ogni persona deve essere difesa però immaginate quanto non fu ai miei occhi una scelta sana: se sei presidente della commissione giustizia e devi presiedere un organismo che dovrebbe riformare la giustizia e difendi una persona accusata poi condannata per aver ammazzato don Peppe.
Ci si sente soli, perché lo Stato non sembrava da questa parte ma dall’altra ma è in questi momenti che capisci che non esiste lo Stato
e l’antistato ma esistono molte parti di stato e tu devi scegliere con chi stare, chi merita di essere “riconosciuto depositario del diritto”.

Il tema era a me molto caro, molto sentito, così ho pensato di fare un intervento esponendo a Roberto Saviano quella che è la più frequente delle “insinuazioni” sui volontari di associazioni: molto spesso veniamo chiamati buonisti, ci viene chiesto cosa ci guadagniamo nel fare volontariato, ecco, nei momenti in cui ci sentiamo demotivati, quasi tentati dal “mollare la presa”, come si fa?
Saviano sottolinea di quanto sia difficile, perché per noi è normale che un giocatore di serie C guadagni milioni di euro giocando a
calcio, ma non è altrettanto normale che un medico faccia la stessa cosa guadagnandoci.
Perché un atto di solidarietà deve essere frutto di assenza di sostegno?
L’invito di Saviano è quello per cui, quando veniamo attaccati, a guardare sempre a ciò che abbiamo fatto e che faremo anche perché quel “fango” verrà sempre da chi non ha avuto il nostro stesso coraggio, bisogna sempre tenersi concentrati su ciò che si fa, senza mai spostare gli obiettivi da raggiungere.



A cura di
Eliana Diana


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